La macchina dell’empatia

28/01/2019

Le nuove tecnologie possono aiutarci a diventare più empatici? È la sfida che si sono posti i ricercatori del BeAnotherLab, progettisti della “machine to be another” (www.themachinetobeanother.org) che permette di vedere, letteralmente, attraverso gli occhi di un’altra persona, come se stessimo abitando il suo corpo. Tale strumento parte da un’idea semplice, ossia l’utilizzo di telecamere a 360 gradi e oculus, elaborata in modo da poter garantire un’esperienza immersiva in cui si perde la piena consapevolezza di trovarsi in un mondo artificiale costruito ad hoc nel quale stiamo vestendo i panni di una persona diversa da noi Guarda video. La macchina permette molteplici applicazioni, come interagire con un pezzo di storia di un’altra persona vedendosi nel suo corpo mentre se ne ascoltano narrazioni e pensieri. In questo caso, tramite un visore, si viene immersi in un filmato pre-registrato in cui una persona volontaria, o un attore, racconta la propria storia o una vicenda significativa che vuole condividere. Il filmato è realizzato ponendo sull’attore una videocamera a 360 gradi in grado di catturarne l’esatto punto di vista. Questo permette di aumentare la percezione del partecipante di essere in quel momento in quel mondo e, durante la proiezione, lo sperimentatore può utilizzare anche altri stimoli in linea con lo scenario presentato (la brezza del vento, le gocce della pioggia, la pressione di una mano, profumi) per permettere una immedesimazione multisensoriale e non solo visivo-uditiva. Si può venire così catapultati nel corpo e nella storia di chiunque: un immigrato, una vittima di bullismo, un clochard, ecc. L’utilizzo di due visori e due telecamere permette invece di assumere live il punto di vista di una persona che ci sta di fronte. Tale utilizzo è stato sfruttato ad esempio nelle ricerche sul gender swapping, in cui, associando la telecamera posta sul capo di un soggetto maschio al visore di un soggetto femmina e viceversa, si crea l’illusione di vedersi all’interno di un corpo di diverso sesso, o nelle ricerche su handicap fisici, in cui persone con handicap motorio vengono “calate” nel corpo di danzatori.

Ma come può un’esperienza di questo tipo migliorare le nostre competenze empatiche? Cerchiamo prima di tutto di capire a cosa ci riferiamo con la parola empatia. Spesso questa viene definita come la capacità di “mettersi nei panni dell’altro”, ma più specificatamente in psicologia comprende due componenti, una cognitiva e una emotiva. A livello cognitivo implica la capacità di assumere il punto di vista di un’altra persona, comprendendone percezioni e desideri, mentre a livello emotivo richiede la capacità di sintonizzarsi provando la stessa emozione dell’altro. Alcuni autori ne sottolineano poi una terza componente, quella motivazionale, poiché essere in grado di empatizzare con una persona che sta soffrendo spingerebbe a mettere in atto una serie di comportamenti di aiuto. Dall’altro lato buone capacità empatiche agiscono da deterrente rispetto a mettere in atto azioni lesive verso gli altri, poiché la loro sofferenza causerebbe uno stato di disagio anche nell’aggressore.

La machine to be another permette di assumere il punto di vista dell’altro in modo prima di tutto fisico e percettivo, favorendo massima immedesimazione e le prime ricerche confermano che indurre l’illusione percettiva di abitare il corpo di un’altra persona ha un grande potenziale nel ridurre atteggiamenti raziali e nel promuovere l’altruismo. La tecnologia diventa così una porta nella prospettiva degli altri che permette di colmare distanze socio-culturali, promuovendo la comprensione reciproca.

Articolo a cura della Dott.ssa Serena Grumi

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